“La mia storia per DEA” di Chiarastella Fatigato
Sono Chiarastella, ho 45 anni, vivo ad Isola d’Istria in Slovenia, da sei anni.
Sono architetta, laureata a Pescara nel 2001, e per quindici anni ho svolto la professione in Puglia, lavorando nel settore dell’urbanistica e dei lavori pubblici. Ho svolto attività di ricerca nell’ambito del governo e della tutela del territorio all’interno dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, come vicepresidente della sezione pugliese dell’Istituto. Ho redatto ed informatizzato piani regolatori, notando sempre, nella mia professione, un divario esistente fra le norme regionali e la loro applicazione nella realtà. Le amministrazioni locali, infatti, spesso non sono in grado di esprimere politiche condivise e partecipate di gestione del territorio nel lungo periodo e restano legate all’alternarsi dei colori politici e alle scelte populistiche dettate dalle emergenze e dalle pressioni del mercato immobiliare. Ho fatto parte di associazioni e gruppi civici per contrastare il degrado urbano della mia città, Foggia. Anche in questa esperienza di partecipazione dal basso ho notato l’incapacità dei miei concittadini nel fare rete per questioni serie ed il disperdersi delle forze della società civile in mille fazioni. Questa disaggregazione è l’altro lato della medaglia di una politica locale affetta da sempre da clientelismo e corruzione.
Ho tre figli e, un bel giorno di sei anni fa, ho deciso insieme a mio marito Gianni di lasciare Foggia. Volevamo dare ai nostri ragazzi un futuro migliore, con più opportunità. Per noi, così attaccati alla nostra terra, non è stato un passo facile. Mio marito, cantautore oltre che insegnante di lettere, aveva appena pubblicato nel 2013 un concept album in dialetto foggiano, dedicato ai terrazzani e alle memorie della nostra città, chiamato Ferlizze. Insieme suonavamo nella nostra band: abbiamo lasciato amicizie, relazioni, affetti familiari. In più, quando siamo andati via, nell’estate del 2014, ero in attesa all’ottavo mese della nostra terzogenita. La nostra piccola è nata a Trieste: abbiamo iniziato la nostra avventura lontani da casa con la sua nascita.
In questi anni ho ricostruito la mia vita. Ho realizzato l’altro sogno che avevo fin da ragazza: laurearmi in lettere. Ho preso quindi una seconda laurea presso l’Università del litorale di Capodistria in didattica della lingua italiana. Mi sono abilitata all’insegnamento in Slovenia e attualmente insegno in una scuola pubblica in lingua italiana, ai ragazzi delle scuole medie (che qui si chiamano scuole elementari superiori). Sto inoltre prendendo una terza laurea in Italia, presso l’Università per stranieri di Perugia, in insegnamento dell’italiano a stranieri. Ho scoperto che adoro fare ricerca nel campo dell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua e come lingua straniera. Lavorare “sul campo” con i miei ragazzi mi sta dando molte soddisfazioni.
Da sei anni viviamo in una piccola città bilingue del litorale sloveno, vicini al confine con l’Italia (25 km). I miei ultimi due figli frequentano le scuole italiane nel nostro comune sloveno ed il maggiore frequenta il liceo a Trieste, dove si reca ogni mattina con il papà che insegna nel capologo giuliano. Ogni giorno la nostra famiglia si separa e lavora e studia in due Stati diversi: l’Italia e la Slovenia. Merito del trattato di Shengen e dell’Unione Europea, che ha abolito le frontiere, avvicinando i territori.
In Slovenia la qualità della vita è molto alta: verde pubblico, servizi alle famiglie, tranquillità e senso civico. In fondo, ciò che cercavamo. Abbiamo comprato una casa antica, vicino al porto, ad Isola. L’abbiamo ristrutturata ed è il nostro mondo. I miei figli frequentano anche la scuola di musica pubblica: girano da soli, a piedi, in bicicletta o, se deve raggiungere Capodistria, che è a sette km, il maggiore prende l’autobus. Ho praticamente smesso di usare l’auto in città e questa è stata una conquista, perchè dove vivevamo giravo come una trottola il pomeriggio per accompagnare i bambini alle attività pomeridiane. Inoltre diamo una mano alla locale comunità degli italiani: organizziamo spettacoli e abbiamo un gruppo musicale che si chiama Pane e Refosco. Insomma abbiamo ricostruito i nostri hobbies, tutto ciò che ci faceva stare bene.
Il prezzo che abbiamo pagato, soprattutto noi genitori, è stato alto: Gianni ha lasciato la sua famiglia, entrambi abbiamo lasciato i nostri amici più cari. I miei genitori sono invece venuti con noi e questo ha sicuramente attutito il senso di smarrimento iniziale dei ragazzi, che hanno avuto il punto di riferimento dei nonni materni. La serenità dei nostri figli ci ha appagato dei sacrifici compiuti: se tornassi indietro farei lo stesso percorso.