“Parlami Comò” di Valentina Desideri. Recensione a cura Michele Sabatini

“Parlami Comò” di Valentina Desideri

Recensione di Michele Sabatini

Uscito per i tipi di Porto Seguro EditoreParlami Comò” è libro d’esordio di Valentina Desideri, un romanzo breve ma intenso, perché completo in ogni sua parte ed articolato su più livelli di lettura.

Concetta Molinari, detta Comò, è la protagonista del libro, una liquidatrice aziendale appassionata di mobilio e uomini: la sua instabilità emotiva la porta a intraprendere un percorso di psicoterapia dalla dottoressa Soverato. Stimata professionista specializzata in casi come quello di Comò, quest’ultima ha però da anni una relazione extraconiugale con un suo collega, il dottor Valproato, uno psicoterapeuta cinico e narcisista. Intrufolandosi nelle vite di ognuno di loro, il lettore si farà strada fra il passato e il presente dei tre personaggi, toccando le corde della gelosia e della passione, l’intimità della maternità, le frustrazioni del lavoro e il delicato e labile confine fra paziente e terapista.

“Parlami Comò” è un corpus compatto, che va attraversato. Un’opera che possiede molteplici livelli di analisi, quante sono le sfaccettature che si possono celare dietro i caratteri dei protagonisti e il loro modo di intessere relazioni. Ogni personaggio porta con sé un vissuto e, a suo modo, è in cerca, o è scampato, o più semplicemente se ne frega, di una deflagrazione: qualcosa che possa rivelarlo, definirlo.

Quello messo in scena non è il classico triangolo amoroso, è comunque un menage sentimentale, ma più irriverente e profondo. È qualcosa che si avvicina a ciò che in psicologia si definisce “triangolazione”, ovvero una specifica dinamica relazionale nella quale la comunicazione e le interazioni tra due individui non avvengono direttamente, ma sono mediate da una terza persona.

Nel libro lo spazio di terapia diviene così un palcoscenico dove assistere all’epilogo di una contesa, o piuttosto la sua ennesima rappresentazione. Affidandosi però ad un mediatore di distanza anomalo, Comò appunto. Un vettore che porta in sé un virus potenziale capace di far deflagrare anche la personalità più narcisista – come  quella del dottor Valproato ad esempio – semmai a quest’ultima possa importarne qualcosa.

Comò porta in terapia un bisogno di frangibilità, intende cioè scindere la sua unità per vedersi dal di dentro, quasi voglia porre fine alla sua impermeabilità all’altro, a quel senso di espulsione, che si estrinseca nel suo mestiere di liquidatrice aziendale. Vuole in qualche modo tirarsi fuori, finalmente abbassare la guardia quando è in relazione. Anche la dottoressa Soverato ha bisogno di infrangersi, ma molto più probabilmente per riempire il vuoto, la solitudine che si porta dentro. O piuttosto per recuperare il tempo perduto, ciò che non è stato: l’essersi svenduta, concessa al suo vessatore fino a diventarne complice.

Così l’incontro tra paziente e terapeuta diviene più che un’opportunità di cambiamento, una occasione di definizione in cui emerge la funzionalità dell’una rispetto all’altra, facendo trasparire verità amare. Come quella che dimostra, che talvolta la persona chiamata a risolvere, a darci un consiglio, non sia poi così risolta. Che una spigolosità caratteriale che ci fa soffrire, è forse l’antidoto più potente per sottrarci ad una dinamica di dipendenza, di assoggettamento, di plagio, capace di rendere una relazione nociva. Che le nostre spine – come per i porcospini di Schopenhauer – possono in qualche maniera agire in senso positivo e aiutarci a mantenere una giusta distanza dalle emozioni. Su questa costruire, imparare un nuovo modo per stare in relazione.

Anche soltanto dandosi la possibilità di accettare che “Nulla si lascia andare completamente, tutto ritorna”. Fornire così una versione plausibile, di là dal fatto che possa essere condivisibile o meno, sull’elaborazione di senso che si cela dietro ad una perdita, intesa come negazione vitale, mancata creatività. Un tentativo di risignificazione legittimo, che richiama quello espresso da Niccolò Fabi quando – in “Vince chi molla” – canta il proprio bisogno di lasciar andare, di scendere a patti con le proprie sofferenze, parlando di salvezza che non si controlla. Due modalità di reazione apparentemente diverse, forse antitetiche, eppure aderenti, perché celano lo stesso bisogno di tornare a produrre nuovo significato per la propria esistenza.

Eppure in questo romanzo c’è spazio anche per la fiducia, per la possibilità di trovare un codice di condivisione, una nuova grammatica del contatto aperta a tutti coloro che decidano di “salire sul ring” e che tentino di cambiare un destino già scritto. Un atto di coraggio con cui porre un freno alla degradazione. Il dolore di uno strappo, la scelta di immergersi nei propri abissi interiori per perseguirne il valore catartico. Un atto di responsabilità verso se stessi: volersi bene. E così, una volta di più, trovare un nuovo modo per stare vicino alle persone, con le persone. Tornare a voler bene.

“Passo dopo passo, risata dopo risata, contrasto dopo contrasto vista la mia spiccata attitudine per la ‘marca’, ci ritrovammo l’uno davanti all’altra. Puntai il piede invece di farlo scivolare lentamente di lato. Ripresa per la vita, ottenuta la mia fiducia, tornai in asse e perdendo finalmente l’equilibrio in sospensione per un attimo volai e mi ricordai che non sempre l’indicazione per non fallire avrei dovuto darla io: sarebbe bastato seguire il codice della condivisione.”

Le vicende che vedono per protagonista Comò e la sua coppia di terapisti sono narrate attraverso una scrittura densa, un linguaggio accurato e mai scontato, uno stile narrativo conciso ma efficace. C’è infatti un giusto equilibrio, un’alchimia di fondo, in cui periodi più lunghi si alternano a capitoli brevi. Tutto ciò riesce a dare un ritmo magnetico alla lettura, perché ogni capitolo narra un episodio concluso, che rassicura il lettore e lo invoglia a passare a quello successivo.

Questo romanzo breve è un testo che ha carattere, perché non fa nulla per essere ruffiano, mettendo alla prova la volontà di chi lo sta leggendo. La scelta di scrivere in prima persona e alternare l’io narrante dei 3 protagonisti, senza darne preavviso, all’inizio può disorientare i lettori meno smaliziati. Con il passare delle pagine invece si rivela un solido escamotage narrativo in grado di dare vivacità alla messa in scena generale della storia.

Nel libro Comò afferma che: “La scrittura è uno strumento di maieutica”, di ricerca della verità. La scrittura possiede una naturale valenza terapeutica e questo romanzo ne è sicuramente espressione. Una forma di liberazione: dalla gelosia, dal controllo, dalla paura, da schemi che non ci riescono più a contenere, da abiti mentali che non riusciamo più a indossare. Lo è anche la lettura quando ci invita ad una riflessione, ci esorta a trovare intimamente il tempo per starci ad ascoltare e promuovere un cambiamento. E colui che scrive e di cui leggiamo diviene qualcuno a cui affidarsi, far riferimento, semplicemente perché ha sperimentato, sa di cosa parla.

Un po’ quello che avviene alla dott.sa Soverato che, inconsciamente, o piuttosto come fosse rimasta invischiata in dinamiche di transfert e contro-transfert, decide di chiamare “Parlami Comò” il quaderno di terapia della sua paziente Concetta Molinari. Un titolo che per la terapeuta finisce però per divenire un imperativo verso se stessa, quasi che rivolgendosi al quaderno chiedesse: “Comò dimmi cosa fare”.

Valentina Desideri è nata a Roma nel 1986. È collaboratrice parlamentare e “Parlami Comò”, uscito a fine 2020 per i tipi di Porto Seguro Editore, è il suo primo romanzo. Prossimamente un suo racconto noir  verrà inserito in una antologia dedicata a Roma, in corso di pubblicazione per il marchio editoriale Roma per sempre (Edizioni della Sera).

SCHEDA LIBRO

Titolo: Parlami Comò

Autore: Valentina Desideri

Editore: Porto Seguro Editore

Anno edizione: 2020

Pagine: 138 p.

ISBN: 9788855462266

Prezzo: € 13,90