La circonferenza delle arance di Gabriella Genisi
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“I generalissimi. Strategie e segreti dei top manager italiani” di Paola Pilati
Recensione a cura di Michele Sabatini
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Pubblicato per Luiss University Press, “I generalissimi. Strategie e segreti dei top manager italiani” è il libro con cui la giornalista Paola Pilati racconta alcune delle migliori imprese italiane attraverso le storie dei loro manager
Eccellenza d’impresa italiana. Tema ormai d’abitudine in molti ambienti (e con ragione). Eppure tema mai sufficientemente percorso ed esplorato. E del quale è possibile sempre scoprire qualche anfratto ancora semisconosciuto. È il caso di quelli che ormai per convenzione vengono definiti i top manager d’impresa. Gli alti ufficiali, insomma. La schiera di donne e uomini che affiancano (in alcuni casi sostituiscono) l’imprenditore. Gente varia, con storie diverse, con caratteristiche e connotati diversificati, ma tutti accomunati dalla preziosa capacità di prendere per mano un’impresa, farla crescere, farle conquistare nuovi mondi e produrre ricchezza. È attorno a queste figure che si snoda “I generalissimi. Strategie e segreti dei top manager italiani”, scritto da Paola Pilati (giornalista acuta ed esperta proprio di imprese e di managerialità). Il libro fa parte di “Bellissima”, la collana che la Luiss University Press dedica alla cultura di impresa italiana e alle storie di successo che hanno reso il Made in Italy famoso nel mondo.
Pilati parte da una constatazione: si può raccontare il made in Italy attraverso i fatturati, le joint venture, la conquista di quote di mercato, ma anche attraverso il racconto di coloro che conducono le aziende nel realizzare i loro obiettivi, i manager che siedono al vertice: gli amministratori delegati.
Da qui dieci racconti su altrettanti manager di alcune delle più importanti realtà industriali nazionali. Ne nasce così un libro che è contemporaneamente storia di donne e uomini e storia d’imprese. Oltre che dell’attualità di entrambi. E nelle pagine leggibilissime di Pilati scorrono quindi i giganti della capitalizzazione in Borsa come Eni ed Enel , i campioni assoluti nel loro settore come Fincantieri e Snam, le storie di imprese familiari della farmaceutica Chiesi e della chimica Coim, ma anche la Brembo dei freni della Formula 1 e il gruppo Calzedonia, presenza virale nelle main street di mezzo mondo, fino ad aziende a guida femminile come Kiko e il suo fast make-up di successo e come i superyacht Bluegame della Sanlorenzo, tra i brand più riconoscibili nel settore lusso. Tutte aziende (e che aziende) accomunate dalla presenza di donne e uomini che hanno la responsabilità non solo di guidarne le scelte strategiche che le proiettano nel futuro, ma anche di preservarne la storia, i valori fondanti, la ricchezza di esperienze e di sapere. Scrive l’autrice sintetizzando tutto il contenuto della sua fatica letteraria: «Sono dieci casi diversi, ognuno esemplare del proprio settore, ma con un tratto comune: dimostrano che il capitalismo all’italiana, per quanto mortificato rispetto al passato, è perfettamente inserito nelle grandi catene del valore, intrepido sui mercati internazionali e guidato da manager aperti al nuovo umanesimo” che percorre la società».
Ma chi sono i magnifici dieci, tutti citati in ordine rigorosamente cronologico, che compongono la squadra dei “generalissimi”? Marco Alverà (Snam), Giuseppe Bono (Fincantieri), Marco Carletto (Calzedonia), Carla Demaria (Bluegame), Claudio Descalzi (Eni), Ugo Di Francesco (Chiesi Farmaceutici), Giuseppe Librandi (Coim), Cristina Scocchia (Kiko), Francesco Starace (Enel), Matteo Tiraboschi (Brembo). Alle loro storie si aggiungono i contributi di Stefano Cuzzilla (Presidente Federmanager e 4.Manager) per la prefazione, e l’intervista a Valerio De Molli (Amministratore Delegato The European House – Ambrosetti). Insomma un libro tutto da leggere quello di Paola Pilati.
Paola Pilati, giornalista, ha lavorato per il settimanale L’Espresso, dove è stata responsabile delle pagine dell’Economia per oltre 15 anni. Si è occupata dei diversi aspetti del settore, dalle costruzioni ai trasporti, dall’energia alla finanza, dal sindacato alla previdenza e alla macroeconomia.
Michele Sabatini
SCHEDA LIBRO
Titolo: I generalissimi. Strategie e segreti dei top manager italiani
Autori: Paola Pilati
Editore: Luiss University Press
Anno edizione: 2021
Pagine: 152 p.
ISBN: 9788861055568
Prezzo: € 16,00
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“Il sogno di Solomeo” di Brunello Cucinelli
Recensione a cura di Michele Sabatini
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“Il sogno di Solomeo. La mia vita e l’idea del capitalismo umanistico” è il libro autobiografico scritto per Feltrinelli da Brunello Cucinelli e curato da Massimo de Vico Fallani.
Leggendolo si respira aria buona, la stessa di cui è possibile godere nel borgo di Solomeo, vicino Perugia. È qui che il re del cachemire si è trasferito dopo il matrimonio, facendone l’oggetto dei suoi sogni e il grande laboratorio dei suoi successi di imprenditore e umanista. Definito l’imprenditore – filosofo, Brunello Cucinelli vede infatti la sua impresa come un ambito di azione per sviluppare e incrementare il sogno di un capitalismo che valorizzi l’uomo.
Leggendo il libro si incontra soprattutto l’uomo Cucinelli, con pregi, originalità, virtù e piccole manie. Ci sono le sue radici contadine, la famiglia d’origine dedita alla mezzadria: anni poveri di mezzi ma ricchi di valori. Anni che vedono maturare nel futuro imprenditore la scoperta delle relazioni umane come grande ed unica ricchezza.
Ed ancora il trasferimento dalle campagne a Perugia – seguendo tutti insieme il papà capofamiglia assunto da un’industria – l’adolescenza e i tempi dell’università. Pazienza se alle aule della facoltà d’ingegneria si sono sostituite le sale del suo bar preferito. Tanto è bastato a Cucinelli per incontrare persone, scoprire idee ed ideali, coltivare interessi: discutere con tutti su tutto. Tanto è bastato per laurearsi all’università della vita.
Stimoli, ma anche la capacità di recepirli. Un’attenzione particolare nel sapere leggere i cambiamenti sociali ed economici in atto prima degli altri e sfruttarli a proprio vantaggio. E poi tanta perseveranza, l’unica virtù di cui un pioniere non può fare a meno se vuole alimentare i propri sogni.
“ Fra le ragioni del successo vi era la trasparenza: oltre la forza della volontà, la sincerità era il mezzo cruciale per garantire le mie idee … La franchezza negli affari mi piace anche come mezzo per semplificare le cose e progredire in fretta”
Il sogno di Solomeo è quello di un contadino che, seguendo i valori umanistici scoperti nella vita rurale e nella filosofia, diventa un grande industriale. Un sogno capace di mostrare che si può restituire una vita ai centri antichi e nobiltà alle periferie. Brunello Cucinelli ripercorre il cammino della sua vita ed evoca il senso dell’umano ereditato dai greci, che ogni giorno l’ha accompagnato nella ricerca della saggezza e della pratica virtuosa. Le sue guide sono la dignità morale e quella economica dell’uomo. E i punti cardinali che orientano questo viaggio sono la bellezza, quando è unita alla custodia, e la “vecchiezza”, quando amata dai giovani; la ricchezza, quando è unita al dono, e la semplicità delle cose davvero grandi. Nascono così il concetto di “lavoro giusto” come rispetto della natura e dell’uomo e della sua aspirazione al sogno: è questo il “capitalismo umanistico”. Dei grandi maestri del passato si ritrova in queste pagine la ricerca del silenzio, del raccoglimento, e di quella luminosa solitudine popolata di ricordi.
“Dopo i due incontri che ho avuto con i dipendenti negli ultimi giorni, ho notato come sempre più persone hanno bisogno di parlare di umanesimo, di aver qualcuno che ascolti la loro umanità … Ho l’impressione che dobbiamo inventarci un nuovo rapporto tra i dipendenti e la proprietà. Forse noi italiani, padri e maestri delle arti, possiamo fare molto per trovare la formula moderna del lavoro”.
Alle figlie per il matrimonio Brunello Cucinelli ha regalato 1000 libri. Ha inoltre dichiarato che “se dovessi perdere tutto, la sola cosa che conserverei sono i libri”. Ed ancora: “mi piacerebbe immaginare di curare gli interessi dei posteri”.
Belle parole, buone intenzioni. Ma quanto Brunello Cucinelli è sincero in quel che dice e quanto è vittima del personaggio che s’è costruito nel tempo? Il libro non dà risposte, quanto piuttosto indizi che non tutti i lettori saranno in grado di cogliere. È questione di esperienze comuni e della narrazione che se ne fa. In questo senso le pagine che raccontano l’infanzia sono sicuramente le più godibili e appaiono come autentiche. Non che il resto del libro non lo sia, tutt’altro. Ma c’è, soprattutto nella parte finale, un eccesso di rappresentazione, quasi che alla propria esperienza di vita e di impresa siano stati sovrapposti modelli etici e filosofici. Una sorta di escamotage per far quadrare i conti a posteriori. Qualcosa di molto diverso da ciò che dovrebbero essere dei principi ispiratori.
Eppure alla fine con Brunello Cucinelli i conti tornano, perché la verità che ci separa dal dare una risposta compiuta alla domanda che ci si è posta, può essere colmata soltanto dalla possibilità di incontrarlo e scambiarci qualche battuta, magari proprio a Solomeo. Si avrà il piacere di scoprire un uomo “arrivato” ma non ancora sazio, capace di ascoltare e per questo in grado di leggere la realtà con uno sguardo: l’arte delle relazioni umane, appresa nelle molte aule della vita e coltivata senza far differenze fra occasioni, errori, esperienze e persone.
Brunello Cucinelli è nato nel 1953 a Castel Rigone (Pg) da una famiglia contadina. Nel1978 ha fondato una piccola impresa con l’idea di colorare il cashmere, coltivando fin dall’inizio il sogno di un lavoro rispettoso della “dignità morale ed economica dell’uomo”. Nel 1982 Solomeo diventa l’oggetto dei suoi sogni e il grande laboratorio dei successi di imprenditore e umanista. Tre anni dopo, Cucinelli acquista il castello diroccato del borgo e ne fa la sede della sua azienda. Per adeguare le strutture produttive alla sua crescita, nel 2000 compra e riadatta vecchi opifici ai piedi del borgo. Si dedica con passione al restauro di Solomeo e alla costruzione di un Foro delle Arti dedicato alla cultura, alla bellezza e all’incontro. Nel 2013 Cucinelli presenta l’azienda alla Borsa di Milano. Nello stesso anno istituisce a Solomeo una Scuola di Arti e Mestieri. Per il suo capitalismo umanistico Cucinelli ha ricevuto molti riconoscimenti in Italia e all’estero, tra cui la nomina a Cavaliere del Lavoro, la laurea ad honorem in Filosofia ed Etica all’Università di Perugia, il Global Economy Prize del Kiel Institute for the World Economy e la nomina a Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana.
Michele Sabatini
SCHEDA LIBRO
Titolo: Il sogno di Solomeo. La mia vita e l’idea del capitalismo umanistico
Autore: Francesca Corrado
Editore: Feltrinelli
Anno edizione: 2018
Pagine: 176 p., Brossura
EAN: 9788807492372
Prezzo: €15,00
Link all’articolo originale https://bit.ly/3kaO8fc
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“Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati”
di Luca Mazzucchelli
Letto su consiglio di un amico, “Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati” è il libro che lo psicologo, psicoterapeuta e divulgatore Luca Mazzucchelli ha dato alle stampe per i tipi di Giunti Editore.
Scritto in prima persona, con un tono colloquiale e diretto ed uno stile semplice ed esaustivo, Mazzucchelli con questo suo saggio si propone di accompagnare il lettore in un viaggio nel mondo della psicologia del comportamento abitudinario per aiutarlo, passo dopo passo, a comprendere e creare automatismi in grado di spingerlo a diventare la persona che vorrebbe essere.
La metà delle azioni che compiamo ogni giorno sono automatismi. Pur non pensandoci, questi movimenti automatici, in maniera quasi impalpabile, determinano la persona che diventeremo in futuro. Che ci piaccia o no, oggi noi siamo niente di più e niente di meno che il risultato delle abitudini che abbiamo adottato. E domani saremo il prodotto delle abitudini che decideremo di fare nostre.
Fumiamo venti sigarette al giorno o facciamo sport? Mangiamo al fast-food o a casa cucinando sano? Ascoltiamo i sentimenti spiacevoli o li evitiamo? Dedichiamo le ultime ore della nostra giornata ai social o alla lettura? Le abitudini sono quella forza invisibile che lentamente e senza tregua determina la nostra persona, dà forma alla nostra identità e all’immagine che gli altri hanno di noi. Ecco perché sono così importanti.
La buona notizia è che possono essere studiate, sviluppate e modificate e che, grazie ad esse, è possibile realizzare ciò che si desidera essere. Insomma, si può sfruttare il loro potenziale per abbandonare le abitudini sbagliate e adottare quelle vincenti.
”Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati” intende presentare un metodo innovativo per trasformare, passo dopo passo (un 1% alla volta appunto), i comportamenti che per noi sono importanti in azioni facilmente ripetibili, quindi in abitudini forti e sostenibili nel tempo.
Attraverso esempi ed esercizi, Mazzucchelli propone un modello di cambiamento e miglioramento personale accessibile, basato sulla forza delle abitudini rispetto alla motivazione. Perché un conto è la motivazione estemporanea, l’impulso dato dall’esterno che dura poco e quindi è molto instabile (motivazione estrinseca), ben altro è la motivazione intrinseca, l’automotivazione, quella capace di durare a lungo e di operare anche quando i facili entusiasmi sono evaporati. L’automotivazione si poggia sulle abitudini: “Come sa bene anche il più motivato degli atleti, c’è sempre il giorno in cui ti alzi dal letto e non hai voglia di allenarti. Quel giorno, l’unica cosa che ti salva è la tua abitudine a lavorare duro”.
La tesi attorno a cui l’autore ha costruito il suo saggio è che il cambiamento sostenibile nel tempo non passi tanto attraverso la ricerca della motivazione – elemento utile, ma dai più sopravvalutato – bensì dall’acquisizione della abitudini che ci portano step by step verso la realizzazione di ciò che vogliamo essere. Per questo occorre studiare la scienza delle abitudini, per diventare capaci di comprendere quali accorgimenti mettere in campo per far sì che il nostro impeto iniziale non vada perso.
Automotivazione. Autodisciplina. Ma come sbloccarsi nel processo di acquisizione di nuove e positive abitudini? Attraverso la logica del fattore 1%, uno step mentale necessario per trasformare la propria esistenza, un centimetro alla volta, partendo dal non fare nulla (oppure in modo discontinuo) al fare qualcosa ogni giorno, per un lungo periodo di tempo. Così da concentrarsi successivamente su quali comportamenti automatizzare e quali no, in altre parole su quale direzione dare alla propria vita.
Claude Bernard è solito parlare di omeostasi definendo quel fenomeno per cui quando una persona prova a cambiare, il sistema in cui si inserisce il cambiamento esercita una forza uguale e contraria volta a ripristinare l’equilibrio di partenza, anche qualora esso sia disadattivo. Tuttavia esistono degli espedienti per aggirare o abbattere le resistenze del sistema ad essere modificato.
Giorgio Nardone identifica tre processi di cambiamento capaci di aggirare queste resistenza naturali: il cambiamento graduale, il cambiamento catastrofico e il cambiamento geometrico-esponenziale. Funzionali al metodo divulgato in questo saggio sono gli ultimi due. Nel cambiamento catastrofico il paziente viene guidato da manovre dirette, indirette o paradossali che, come un fulmine, colpiscono e abbattono le resistenze, provocando un cambiamento immediato. Nel cambiamento geometrico-esponenziale si mette in atto quello che nella scienza viene definito “effetto butterfly” per cui anche noi, nella nostra quotidianità, possiamo partire da quelle piccole modifiche capaci di eludere le resistenze e innescare nel tempo un cambiamento. Nel cambiamento catastrofico un atto potente e diretto conduce a un effetto importante. Invece nel caso del cambiamento geometrico- esponenziale una piccolissima azione, a cui successivamente viene applicata un’accelerazione, porta a un grande cambiamento.
Il metodo illustrato in questo libro è sviluppato nel solco del cambiamento geometrico-esponenziale. Introdurre un cambiamento dell’1% innesca un altro piccolissimo cambiamento e la somma dei piccoli cambiamenti produce il grande cambiamento, ma con un’accelerazione geometrica. È come se un piccolo passo alla volta venisse introdotto nel sistema una sorta di “virus”, in grado di aggirarne le resistenze – i vecchi schemi – e modificarne l’intero organismo.
In altri termini attraverso la logica del fattore 1% viene introdotto nel sistema un nuovo apprendimento. Tale apprendimento, attraverso l’esercizio e la ripetizione, diverrà poi acquisizione. Le acquisizioni mantenute nel tempo diventano abitudini. Un’abitudine così acquisita tenderà ad essere resistente al cambiamento, cioè a mantenersi nel tempo. Sarà compito della persona, nello spirito di un cambiamento evolutivo – ovvero che poggia su un equilibrio discreto che si abbia interesse a migliorare – far si che tale resistenza non si irrigidisca eccessivamente, ma si mantenga flessibile. In continua evoluzione.
Michele Sabatini
Link all’articolo originale https://uozzart.com/2021/04/20/fattore-1-piccole-abitudini-luca-mazzucchelli/
SCHEDA LIBRO
Titolo: Fattore 1%. Piccole abitudini per grandi risultati
Autore: Luca Mazzucchelli
Editore: Giunti Psychometrics
Anno edizione: 2019
Pagine: 176 p.
ISBN: 9788809988569
Prezzo: € 20,00
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Edito in Italia da Corbaccio, “La scelta di Edith” è il primo libro di Edith Eva Eger, un saggio autobiografico con cui questa psicologa ultranovantenne, sopravvissuta ai lager, si propone di insegnare a superare i traumi attraverso la resilienza.
«I tuoi occhi» dico a mia sorella, «sono bellissimi. Non me n’ero mai accorta quando erano coperti da tutti quei capelli». Per la prima volta capisco che possiamo scegliere: prestare attenzione a quello che abbiamo perso o prestare attenzione a quello che abbiamo ancora. «Grazie» sussurra.
Edith Eger aveva sedici anni quando i nazisti fecero irruzione nella città ungherese dove viveva. Insieme alla sua famiglia fu condotta in un campo di internamento e quindi ad Auschwitz. I genitori vennero inviati subito alla camera a gas su ordine di Joseph Mengele che, poche ore dopo, chiese a Edith di danzare per lui sulle note del valzer Sul bel Danubio blu, ricompensandola con un pezzo di pane che lei divise con le compagne di prigionia. Edith sopravvisse con la sorella ad Auschwitz, venne trasferita durante le marce della morte a Gunskirchen, un sottocampo di Mauthausen, e fu salvata da un soldato americano che la trovò, ancora viva, sopra un mucchio di cadaveri.
Trasferitasi negli Stati Uniti dopo la guerra, ha studiato psicologia e, unendo le sue competenze professionali alla sua personale esperienza, si è specializzata nella cura di pazienti affetti da disturbi da stress post-traumatico. Reduci di guerra dall’Afghanistan, donne che avevano subito violenza, persone che soffrivano per un proprio personalissimo trauma, hanno imparato da lei che «il peggior campo di concentramento è la propria mente» e che libertà e guarigione iniziano quando impariamo ad affrontare il nostro dolore.
La scelta di Edith è la storia dei passi, grandi e piccoli, che ci conducono dall’oscurità alla luce, dalla prigionia alla libertà e alla felicità. Edith Eger ha oltre novant’anni e danza ancora.
A guarirci non è il tempo. È il modo in cui lo si impiega. Guarire è possibile quando scegliamo di assumerci la responsabilità, quando scegliamo di correre dei rischi, e quando scegliamo, finalmente, di liberare la ferita, di abbandonare il passato o la sofferenza.
“La scelta di Edith” non è l’ennesimo libro testimonianza di una sopravvissuta all’Olocausto, è molto di più. L’autrice parla anche del dopo, di ciò che è stato, di ciò che ha passato successivamente cercando di dare un significato a quella parola: sopravvissuta. Lo fa condividendo con il lettore la propria esperienza di psicologa esperta nel lavoro sul trauma, uno strumento prezioso con cui analizzare tutto ciò che ha sperimentato nella sua esistenza, dalla deportazione al campo di sterminio. Dalla fuga dall’Ungheria sotto il regime sovietico, con il marito Bela e la prima figlia appena nata. Alla sua nuova difficile vita da immigrata in America. Ne nasce così uno straordinario racconto di formazione che è anche la narrazione di una vocazione anomala, di una chiamata tardiva ad un mestiere – quello di psicologo – che sorge in Edith Eger dal bisogno profondo di dare delle risposte alle proprie domande di senso. Un racconto scritto in prima persona focalizzato sulle riflessioni dell’autrice, che ripercorre la propria vita e illustra con chiarezza, semplicità, i meccanismi della mente che ne hanno caratterizzato le varie fasi. I pensieri ricorrenti e gli atteggiamenti che l’hanno aiutata a sopravvivere, ma anche il senso di colpa e di negazione in cui sono sfociati. Fino alla scoperta della forza necessaria ad affrontare il proprio passato e vivere un presente più felice.
Edith, la giovane ballerina diventata ormai psicologa che, testimoniando la propria esperienza ed il proprio trauma di sopravvissuta, cerca di offrire ai suoi pazienti degli strumenti per affrontare la loro infelicità. Edith che cerca di insegnare come si possa uscire dalla propria prigione mentale per vivere appieno il presente. Edith che fa tesoro di ognuno di questi incontri e dei loro insegnamenti, e li racconta nel suo libro, perché sono altri passi da fare insieme, da condividere, piccole tappe verso la liberazione dalla sofferenza o dal passato.
Viktor Frankl scrive: «La ricerca di un significato è la motivazione principale della vita di un uomo […]. Questo significato è unico e specifico per ciascuno di noi e ognuno di noi deve, e può, raggiungerlo; solo allora assume davvero un valore che soddisferà la propria volontà di significato». Quando abdichiamo ad assumerci la responsabilità per noi stessi, rinunciamo alla nostra capacità di creare e scoprire un significato. In altre parole, rinunciamo alla nostra vita.
“La scelta di Edith” è un libro potente, ricco di senso. Il suo impatto sul lettore non si esaurisce con una semplice lettura, il suo messaggio scava internamente e si sedimenta in profondità. Tanti sono gli spunti di riflessioni che possono germogliare a distanza di tempo, semplicemente perché al momento non si è in grado di comprenderli. Non si è ancora pronti. Per questo va letto e riletto, distillando i suoi consigli nel tempo.
“La scelta di Edith” è un esempio importante di resilienza, di resistenza, in questi giorni in cui la mancanza di senso affligge più che mai le nostre vite. Così tra i tanti insegnamenti di questo saggio emerge una presa di coscienza che suona come definitiva e che è anche – e soprattutto – una chiamata alla propria genitorialità, ovvero ad essere genitori di noi stessi. Ad assumerci la responsabilità delle nostre vite per costruire significato attraverso le nostre scelte. Perché anche di fronte ad un trauma, possiamo provare a metterci in gioco, a correre dei rischi. Possiamo essere liberi e capaci di riconoscere la responsabilità che avvolge le nostre scelte. Possiamo scegliere, sempre. Così liberarci dal dolore, dal passato. E creare nuovo significato.
Edit Eger lo ha fatto, ha dato un nuovo significato alla propria vita da sopravvissuta: trasformare la propria sofferenza in opportunità di aiuto per gli altri.
Edith Eva Eger è nata a Košice, in Ungheria (attualmente in Slovacchia) nel 1927. Sopravvissuta ai campi di sterminio, si è laureata in psicologia negli Stati Uniti all’University of Texas, e si è specializzata nella cura di persone affette da disturbi da stress post-traumatico. Vive a La Jolla, in California. Il suo primo libro La scelta di Edith (2017) è stato pubblicato in Italia da Corbaccio, così come il suo nuovo saggio Il coraggio di rinascere (2021) in corso di pubblicazione in tutto il mondo.
SCHEDA LIBRO
Titolo: La scelta di Edith
Autore: Edith Eva Eger
Editore: Corbaccio
Anno edizione: 2017
Pagine: 360 p.
ISBN: 9788867001248
Prezzo: € 18,60
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“Scimmie digitali. Informazione e conoscenza al tempo di internet”
di Paolo Artuso e Maurizio Codogno
Recensione di Michele Sabatini
Pubblicato per i tipi di Armando Editore, disponibile in edizione cartacea ed ebook, “Scimmie digitali. Informazione e conoscenza al tempo di internet” è il libro che il filosofo Paolo Artuso ed il matematico Maurizio Codogno hanno dedicato al web e ai modelli di fruizione da parte delle persone. Un saggio breve, ma ricco di informazioni e riflessioni importanti per chiunque usi internet, per scambiare dati e notizie, o vivere la propria socialità estesa.
Diffusosi alla fine del secolo scorso, oggigiorno il web è utilizzato in maniera capillare in gran parte del mondo ed è diventato praticamente indispensabile nelle nostre società. Ma cosa, e soprattutto come, ha mutato le nostre mentalità, le nostre usanze e il nostro modo di comunicare? Cosa è rimasto invariato e quali sono le modifiche che l’informatizzazione ha apportato nel nostro cervello, in particolare in quello dei più giovani, ammesso sia vero?
La Rete sta infatti cambiando il nostro cervello e la nostra mente: ci stiamo impoverendo nell’ineluttabile passaggio dall’homo analogicus all’homo digitalis … O almeno questo è quanto vogliono farci credere alcuni guru autonominati. Tuttavia Artuso & Codogno non sono affatto d’accordo. I nostri principi comunicativi e cognitivi restano gli stessi: la mente è sì plasmabile e malleabile ma non può subire una trasformazione radicale in pochi decenni. Le bufale sono sempre esistite; concetti come la coda lunga sono soprattutto trovate pubblicitarie; nel mondo dell’always on quello che vogliamo è comunicare con chi ha i nostri stessi interessi. Conoscere è potere: ma per poter conoscere occorre prima imparare a trovare le cose davvero importanti. Questo libro offre gli strumenti per capire come sfuggire ai cacciatori di attenzione che sono i predatori dell’era tecnologica.
Quella proposta da Artuso & Codogno è una approfondita analisi del mondo digitale, condotta in modo critico e dettagliato, delineando il nuovo modo di comunicare attraverso i social network, le enciclopedie non ufficiali, le fake news e le bufale. “Scimmie digitali” si presenta così come una sorta di vademecum, una attendibile cartina al tornasole dell’attuale società digitale.
Sin dall’introduzione vengono definiti i concetti di digitale e di analogico, segnalando come nell’interazione con il reale la digitalizzazione stia plasmando una nuova tipologia di uomo caratterizzata da atteggiamenti contrastanti. Gli autori dissentono dalla teoria secondo la quale la mente possa essere paragonata ad un “secchio vuoto” che viene riempito dalle tecnologie: essa è infatti plasmabile e può assumere varie forme. Non segue le regole dettate dalla società oppure dalla tecnologia, bensì quelle proprie basate su principi neurobiologici.
Qualunque tipo di comunicazione è costruita su principi fondamentali quali richiedere, informare, condividere. Questi stessi principi sono presenti nella comunicazione gestuale delle grandi scimmie così come nella comunicazione umana, i bisogni di base sono infatti gli stessi.
Con l’avvento del web, il processo di comunicazione è rimasto lo stesso, ciò che invece è cambiato è il modo di attuarlo: se prima il rapporto era uno-a-uno, con la televisione esso è diventato uno-a-molti, col computer ed internet è arrivato ad essere molti-a-molti.
Ciò finisce per avere ripercussioni sul processo comunicativo e di elaborazione delle informazioni, quando veniamo bombardati da una quantità pressoché infinita di nozioni e notizie, e cadiamo acriticamente nella rete dei motori di ricerca e dei social network come Facebook, che ci mostrano ciò che vogliamo vedere o più propriamente ciò che le grandi aziende vogliono farci vedere. È così che da cacciatori di contenuti, significati, diventiamo prede delle multinazionali.
Il libro è diviso in tre parti: nella prima, a cura di Maurizio Codogno, vengono definiti i meccanismi alla base del funzionamento della rete, l’evoluzione del nostro sapere e come la conoscenza si diffonde nell’era digitale. Quello che emerge è che, il passaggio dal mondo analogico a quello digitale, ha permesso la duplicazione delle informazioni e la loro diffusione, dato che le distanze fisiche non sono più un impedimento. In definitiva i social network non hanno portato nulla di nuovo, semplicemente facilitano la visibilità delle persone e dei loro atteggiamenti, con i loro pregi e difetti. I comportamenti delle persone nella vita reale, siano essi meritevoli o riprovevoli, vengono messi in mostra grazie ad un mezzo che permette loro di comunicare con un numero più vasto di contatti. Le cosiddette “bufale” o false notizie (fake news) non nascono quindi con il mondo digitale, sono sempre esistite, ciò che permette loro oggi di diventare virali è la possibilità di essere replicate e la condivisione assicurata dai nuovi media. Inoltre, non essendoci più un adeguato controllo della fonte, la fretta di essere i primi a dare una notizia permette la pubblicazione di notizie non adeguatamente verificate, anche di falsità. Ma questa è una problematica sia del mondo digitale che della vita reale. Troppo spesso nuovi media, tv, giornali, finiscono per diffondere fake news senza fare i dovuti controlli con il solo scopo di attrarre pubblico e lettori, di garantirsi un equilibrio economico-finanziario. L’idea di Orwell è che una bugia ripetuta a sufficienza diventi una verità, le bufale sono quindi qualcosa che va oltre la verità. È la Post-verità, ciò che l’Oxford Dictionary of English definisce come, ciò che denota o si riferisce a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti degli appelli a emozioni e credenze personali nel formare l’opinione pubblica.
Nella seconda parte, a cura di Paolo Artuso, viene analizzato il modo in cui è cambiata la comunicazione prima e dopo l’arrivo di Internet. Molti teorici affermano che l’avvento del web stia provocando effetti sulla sfera delle relazioni sociali, della cultura, sulla nostra psicologia e struttura biologica. Lo scrittore americano Nicholas Carr ad esempio, sostiene che il web starebbe modificando la nostra mente fino a renderci più stupidi. Secondo la sua teoria stiamo tornando ad essere uomini delle caverne, costretti ad essere attenti ad ogni minimo segnale di pericolo, incapaci di soffermarci in maniera critica sulle cose. Internet ci starebbe abituando ad operare in modo superficiale e multitasking, diventando così incapaci di approfondire i contenuti. Secondo la scienziata britannica Susan Greenfield il cervello umano si adatta facilmente a qualsiasi ambiente ed alle sue modifiche, come ad esempio il “cyberworld”, il quale starebbe depotenziando le capacità cognitive ed emotive facendoci diventare più autistici e meno empatici. Tuttavia gli autori del libro tengono a precisare che “ogni nuova conquista tecnologica ci ha messo in grado di fare cose che prima non eravamo in grado di fare”. Essi finiscono così per smontare le teorie più fantasiose, spiegando l’argomento sia dal punto di vista antropologico, psicologico, biologico e neurologico, sia da quello sociologico ed economico.
In verità con l’avvento della rete la comunicazione ha subito una modificazione, ma resta sostanzialmente la stessa. È possibile dimostrare ciò ricorrendo allo schema di Tomasello che definisce le tipologie delle motivazioni comunicative: Richiedere (richiedere aiuto o informazioni); Informare (offrire aiuto o informazioni); Condividere (condividere emozioni o atteggiamenti).
Nell’era digitale questi elementi vengono utilizzati in modo diverso, ma simile alla comunicazione classica: a) Informare. Nelle nostre comunicazioni social informiamo su fatti, eventi che ci interessano o di cui vogliamo mettere al corrente gli altri (es. Facebook, Twitter, etc.); b) Richiedere. Spesso chiediamo informazioni, aiuto, consigli, attenzione. Possiamo scrivere sulla bacheca di qualcuno oppure “taggarlo” in un post. Anche attraverso le emoticons possiamo fare una richiesta, come l’utilizzo di una faccia dubbiosa che può significare “allora?”, “Sei sicuro?”; c) Condividere. Condividiamo informazioni, post, notizie, immagini, fotografie attraverso le quali esprimiamo delle emozioni.
La comunicazione classica prevedeva la trasmissione di un messaggio da parte di un mittente attraverso l’utilizzo di un codice comune usando un canale che lo portasse al destinatario. “Noi (mittenti) siamo in possesso di un oggetto (messaggio) che dobbiamo trasmettere a qualcuno (destinatario), e ci dobbiamo assicurare che arrivi a destinazione nella maniera migliore. Per fare questo veicoliamo il nostro oggetto in un sistema di trasmissione (canale), impacchettandolo tramite un opportuno sistema di segni condivisi da tutti (codice)”.
Le comunicazioni in rete invece sono soggette al malinteso ed alle incomprensioni. Abbiamo un mittente che produce indizi verso un destinatario che a sua volta produce interpretazioni di questi indizi. Spesso e volentieri l’io virtuale diventa più raggiungibile dell’io fisico, provocando malintesi, accontentandoci di un riscontro da parte dell’io-Facebook piuttosto che dall’io reale. È per questo, che lo scrittore americano Andrew Keen, percepisce la realtà dei social media come una realtà di isolamento umano: l’uomo in rete è ovunque e da nessuna parte. Internet è la patria del narcisismo. I nuovi eroi non sono seguiti per le loro grandi gesta, oppure per ideali di libertà ed uguaglianza. Oggi, gli eroi sono sportivi, attori, soubrette. Mentre la gloria si basa sul merito personale e dura nel tempo, la fama che accompagna i “nuovi eroi” spesso esalta personaggi equivoci o umanamente insignificanti. La celebrità diviene un simulacro privo di virtù, che persegue solo il fine personale.
La terza parte, scritta a quattro mani da entrambi gli autori, è dedicata all’utilizzo dei filtri su motori di ricerca e social network, e sull’influenza che hanno sulla nostra conoscenza. I motori di ricerca e i social network ci conoscono grazie alle tracce che lasciamo in rete, proponendoci ciò che a noi piace. Gli autori paragonano i filtri di Internet a degli occhiali colorati che ci permettono di vedere il mondo in base ai nostri gusti, così come lo vorremmo, confermando le nostre sicurezze. La personalizzazione, ovvero il tracciamento delle abitudini di consumo, avvicina il nostro mondo e ci nasconde il resto. Ci nasconde la realtà. Vediamo ciò che vogliamo vedere e quello che gli altri (le multinazionali) decidono di farci vedere, filtrando così gli annunci pubblicitari e anche le notizie. Se sui social network l’importante è apparire, non conta il contenuto ma il contenitore. Le notizie seppur false vengono accettate ed accreditate dalle convinzioni delle singole persone, senza valutare le fonti.
Pur essendo breve “Scimmie digitali” è un saggio completo, che offre una prospettiva molto ampia sul fenomeno del web e dei social network, e lo fa con un linguaggio e dei metodi semplici, accessibili a tutti. È un libro equilibrato, che prende in esame i pro e i contro, e che potrebbe portare i lettori ad un uso più consapevole e maturo della rete.
“Dobbiamo preservare la nostra dimensione individuale ed evitare che il fragile confine tra noi e gli altri venga irrimediabilmente abbattuto. Noi non siamo gli altri e gli altri non sono noi. Abbiamo bisogno del confronto sociale con l’altro per capire chi siamo, ma allo stesso tempo dobbiamo irrobustire il nostro ‘io’ in uno scambio serrato con il prossimo che ci metta in discussione e ci consenta di crescere per potere esprimere al meglio le nostre potenzialità”.
Paolo Artuso si è laureato in Filosofia della Scienza all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha insegnato Filosofia della Scienza all’Università di Cassino dal 2004 al 2008, attualmente, nella stessa università, insegna Tecniche argomentative. È autore di Hilary Putnam: realismo e comprensione (Pisa, 1995), La nuova comunicazione interna (con G. Mason, Roma, 2008) e di articoli e saggi su riviste specializzate. Nel tempo libero si dedica alla fotografia.
Maurizio Codogno. Laureato in matematica nel 1986 presso l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore, e in informatica nel 1991. Internauta della prima ora – ha iniziato a frequentare la rete nel 1984, e nel 1994 ha creato il suo primo sito web – ha contribuito agli standard internet definiti dall’IETF ed è stato direttore esecutivo della Naming Authority italiana. Impegnato nella divulgazione della matematica, ha scritto per Vallardi Matematica in relax (2011) e per Codice Edizioni Matematica in pausa caffè (2014), Matematica in pausa pranzo (2016), Numeralia (2019). È anche portavoce dell’associazione Wikimedia Italia.
SCHEDA LIBRO
Titolo: Scimmie digitali. Informazione e conoscenza al tempo di Internet
Autori: Paolo Artuso e Maurizio Codogno
Editore: Armando editore
Anno edizione: 2018
Pagine: 160 p.
ISBN: 9788869923524
Prezzo: € 15,00 brossura (€ 8,99 formato EPUB)
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“Storie di vita ed emozioni per DEA” di Paolo Cerino
“Please help us move from Afghanistan to a safe country”. Il 27 settembre sullo schermo del computer di un’associazione di volontariato italiana, in una casella email utilizzata per richiedere informazioni logistiche, appaiono queste poche parole scritte in un inglese elementare. Chi scrive? Perché vuole fuggire dall’Afghanistan?
Per capire cosa stesse accadendo torniamo indietro con la memoria a quei giorni drammatici e convulsi di agosto 2021.
I talebani il 16 agosto prendono il controllo della capitale dell’Afghanistan, Kabul, e tornano, dopo venti anni, a comandare sul paese. Sono ore tremende: chiunque abbia avuto contatti con il “mondo occidentale” è in pericolo di vita. Chiunque abbia sostenuto cause di emancipazione e promozione sociale è in pericolo di vita.
Aisha (nome di fantasia) è una giovane maestra elementare, vive in una città a nord del paese ed è un’attivista dei movimenti per l’emancipazione femminile. Suo marito, Rashid (anche questo è nome di fantasia) è un funzionario di banca. Laureato in India in economia, aveva lavorato in banca fino a quel drammatico momento. Pochi giorni dopo l’arrivo dei talebani il suo “capo” lo convoca e lo informa che è stato licenziato e che il suo posto verrà preso da un talebano. Aisha è terrorizzata, e ha ragione. Come scrive lei “i Talebani negano ogni diritto umano alle donne”. Figuriamoci ad una maestra e attivista di un movimento di difesa dei diritti delle donne. Viene minacciata, più volte, da chi ricorda bene il suo impegno sociale. Lei sa bene che questi messaggi non sono solo parole e deve prendere una decisione drammatica: fuggire subito con suo marito per non rischiare di essere catturata e giustiziata. Inizia un periodo fatto di fughe notturne, ospitati da parenti e amici riluttanti perché consapevoli del pericolo che corrono. È Aisha a dirci che “per settimane abbiamo vissuto da migranti clandestini nel nostro paese”. Su un vecchio telefonino Aisha segue qualche chat per capire cosa il mondo sappia di quello che sta accadendo nel suo paese. E così scopre che qualcuno proprio in quei giorni nel mondo sta lottando per la libertà delle donne afghane al grido di #AfghanWomenExist.
Aisha, a differenza di Rashid, conosce poco l’inglese, ma è determinata come solo le donne sanno essere. Legge questo hashtag a favore delle donne afghane, cerca chi lo ha promosso, prova a capire, trova un indirizzo email di informazioni e scrive. Poche parole, disperate “Please help us move from Afghanistan to a safe country.” La volontaria che legge queste dieci parole rimane interdetta, chiede aiuto ad altre volontarie. Capiscono che la situazione è drammatica e decidono di provare ad aiutare questa donna. Ma come? Aisha è braccata, non può esporsi, non può farsi identificare, non può chiedere aiuto a Kabul, anche perché i paesi occidentali hanno chiuso le loro sedi diplomatiche. In Italia i volontari si organizzano: il compito di salvare Aisha e il marito è affidato proprio a due donne italiane, due avvocate esperte di immigrazione, che si mettono in contatto con il consolato italiano di Islamabad, in Pakistan. I funzionari sono molto comprensivi, ma devono attenersi alle indicazioni ricevute da Roma e devono respingere la richiesta del visto per motivi umanitari. Aisha intanto è sempre più terrorizzata. Le settimane passano, i soldi risparmiati negli anni stanno finendo e si succedono le notizie di arresti di massa. Vede andare in frantumi anni di lavoro a favore delle donne, viste dai talebani solo come procreatrici, senza diritti sociali. Sa che la sua vita è in pericolo e scrive continuamente alle due avvocate che non ha mai visto, implorandole di fare presto. Le due avvocate italiane sono determinate quanto la loro nuova amica afghana, non demordono e continuano a bussare a tutte le porte in Italia, senza lasciare nulla di intentato. E qualcosa alla fine si muove: il consolato italiano a Islamabad le chiama: “Possiamo rilasciare il visto. Ma la signora e suo marito devono venire a Islamabad”. Sono ore frenetiche. Il sistema di trasporti in Afghanistan non esiste più, e viaggiare significa correre pericoli gravissimi. Aisha e Rashid devono decidere cosa fare. Danno fondo ai pochi risparmi rimasti e pagano un passaggio in Pakistan con un convoglio di “trafficanti”. Arrivano in Pakistan e riescono a raggiungere il consolato italiano. I funzionari sono gentilissimi e sbrigano in poche ore tutti gli adempimenti necessari per dare loro il visto. Ora i due devono trovare un biglietto aereo, e nella loro condizione sembra un’impresa disperata. Ma in questi luoghi tutto si può comprare e dopo settimane di promesse, arriva il biglietto per l’Italia. La partenza è drammatica: le autorità pakistane in aeroporto non vogliono far partire la coppia perché non ha un biglietto di ritorno, ma Aisha a questo punto, anche se spossata dalla fatica, dalla paura, dalle notti insonni, riesce ad imporsi e con la sua immensa energia convince l’ufficiale pakistano a lasciarli andare.
Eccola, dopo quasi venti ore di viaggio fra volo e scali interminabili, all’arrivo in Italia con il marito. Anche qui le autorità dell’immigrazione sono molto scrupolose, ma ultimati tutti i controlli, aprono il tornello del varco doganale. Aisha e Rashid sono sul suolo italiano. E ora nella sala arrivi dell’aeroporto c’è un gruppetto di persone abbracciate, in lacrime dirotte: Aisha, Rashid, le due avvocate, le volontarie che negli ultimi giorni sono state in contatto con la coppia senza interruzione per sostenerli e supportarli nell’ultimo miglio del viaggio. Piangono tutti, abbracciati. I volti stravolti dalla fatica, dall’emozione, dalla gioia ma anche dalla preoccupazione. Oggi comincia un’altra vita per Aisha e Rashid. Anzi, si ricomincia da capo. Nuova lingua, nuove abitudini, nuovo cibo, nuovi posti. Adesso sono al sicuro, ospiti di chi può offrire loro assistenza e calore umano. Ma nel futuro ci sono due vite da ricostruire, lavori da ritrovare, relazioni da costruire. Con una certezza però: che il coraggio, la forza, la passione di Aisha li sosterranno sempre.
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“La mia storia per DEA” di Daniela Comandini
Sono nata a Roma nel 1965 e ho frequentato le scuole del mio quartiere (scuola all’aperto Giacomo Leopardi, scuole medie Col di Lana, Liceo sperimentale magistrale T.Mamiani). Sin da bambina , grazie a mio padre che viaggiava molto per lavoro essendo ingegnere e che parlava diverse lingue pur essendo un uomo nato negli anni ‘30, ho iniziato a studiare inglese e francese. Ho sempre amato scrivere, tanto che i miei temi venivano letti in classe, anche al liceo. Questa passione non si è mai esaurita, tanto che finalmente in età adulta ho avuto l’occasione di scrivere un monologo sul tema di una fiaba che è andato in scena in un Festival (Orizzonti d’arte di Chiusi, Siena, 2014).
Dopo il liceo ho assecondato questo interesse per la comunicazione e ho deciso di iniziare a studiare un’altra lingua, quella russa. Mi sono quindi laureata in lingue e letterature straniere moderne ed in particolare in russo con una tesi su un autore di teatro russo N.R.Erdman (attivo negli anni ’20 del secolo scorso a Mosca, e amico dello scrittore Bulgakov e collaboratore del regista Mejerchol’d, mandato al confino in Siberia a causa di due commedie satiriche che criticavano il sistema sovietico).
Dopo la laurea mi sono specializzata in traduzione letteraria, approfondendo così la mia conoscenza e le implicazioni della comunicazione e ho preso il patentino di guida turistica a Roma e Provincia.
Ho lavorato a lungo come interprete e traduttrice: ho tradotto interviste per Radio3, curato le traduzioni di documentari della BBC per una società di edizioni, tradotto testi per Diritto e libertà , una rivista del Partito Radicale (ad esempio diversi articoli di Anna Politkovskaja di denuncia degli orrori della guerra in Cecenia, nel 2002), ecc.
Ho frequentato corsi di recitazione, di canto e di danza.
Nella seconda parte della mia vita, ho fatto due concorsi pubblici per insegnare nella scuola d’infanzia, li ho vinti , ho avuto un figlio e ho iniziato a dedicarmi prevalentemente al mondo dell’infanzia, parallelamente all’attività di traduttrice.
Le esperienze e le competenze acquisite precedentemente mi sono servite per mettere a punto una metodologia didattica originale particolarmente efficace per i bambini, che via via si è arricchita di ulteriori stimoli. L’idea di fondo è di proporre ai bambini attività anche complesse, su argomenti “difficili”. Ho scoperto sul campo che la memoria dei bambini è qualcosa di incredibile e l’idea di fondo è di piantare dei semini di conoscenza che poi germoglieranno nel corso della vita.
Potrei citare tanti esempi…(Il lavoro fatto su Castel S.Angelo ad esempio esemplificativo del mio metodo che unisce storia dell’arte, letteratura, musica etc o il lavoro “caccia alle parole, caccia ai numeri e la scoperta dei sistemi simbolici” “ Piante vagabonde e migrazioni”.
Ho collaborato con l’associazione MEMORIA E RESILIENZA PER I BAMBINI E LE BAMBINE di Amatrice e del mondo , nata dopo il terremoto del 2016 per promuovere nella scuola un percorso specifico sulla resilienza attraverso le attività legate al progetto “Zeus il Gatto magico”, un gatto speciale capace di trasformarsi per adattarsi alle diverse situazioni. Un modo originale che prevede l’ascolto di una canzone dallo stesso titolo e il coinvolgimento dei bambini nel comporre una ulteriore strofa della canzone. Si tratta di un progetto quindi che coinvolge l’intera comunità educativa e i bambini sia della scuola d ‘infanzia sia della scuola primaria.
Da settembre 2021 la stessa associazione promuove invece un percorso in collaborazione con l’associazione Montessori Brescia sulla “scuola a zero stereotipi” , attraverso l’organizzazione di laboratori e la realizzazione di una specifica bibliografia a “zero stereotipi” per l’infanzia .
Da anni lavoro sui diritti e i doveri dell’infanzia, sull’educazione ambientale, sui temi della diversità e dell’inclusione. D’altronde da quest’anno l’educazione civica finalmente rientra tra le materie obbligatorie in ogni ordine e grado scolastico ed io, per fortuna, ho acquisito negli anni diverse competenze e materiali per rispondere a questa urgente istanza attraverso l’ideazione di percorsi specifici che siano al contempo ludici e didattici.
Attualmente sto scrivendo una storia per bambini e sono impegnata in arrivo nelle scuole e nelle famiglie. Con la collaborazione dei Traduttori della Pace Ho messo a punto diversi progetti per i bambini ucraini in fuga in un breve glossario italiano/ucraino con la trascrizione internazionale e indicazioni di pronuncia per facilitare l’accoglienza dei bambini in fuga dall’Ucraina. Ho rintracciato risorse varie quali canzoni, cartoni animati, fiabe e flash cards della comunicazione alternativa aumentativa (CAA) e ho preparato un post su facebook che è stato condiviso più di 3000 volte. La risorsa da me realizzata è risultata talmente efficace che sono stata contattata da diverse associazioni, quali la Associazione Nazionale Insegnanti Lingue Straniere (ANILS) e persino dall’UNICEF con cui ho iniziato delle collaborazioni.
Insomma, ancora una volta cerco di mettere a disposizione degli altri le mie competenze e questo mi rende felice!
I miei interessi sono: scrittura, poesia, letteratura per l’infanzia e non anche legata al mondo slavo e in particolare alla Russia, arte, fotografia, teatro, musica, natura, viaggi, attualità.
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“Homo Talent. Idee e strumenti per le rivoluzioni quotidiane” di Giorgio Maggi
Recensione di Michele Sabatini
Lo scorso anno, in questo tempo sospeso, che ha nell’incertezza una quotidiana compagna di viaggio, mi sono imbattuto in una diretta Facebook del gruppo DEA #donnecheammiro. Era la prima volta e vi si discuteva del talento e della sua valorizzazione come risorsa per promuovere un cambiamento, sia esso personale che professionale. La discussione nasceva dalla presentazione di un libro, un saggio
scritto da Giorgio Maggi per Alpes Italia ed intitolato “Homo Talent. Idee e strumenti per le rivoluzioni quotidiane”. Incuriosito, sensibile all’argomento, m’è venuta voglia di leggerlo. In breve Giorgio Maggi sostiene che le rivoluzioni quotidiane sono lo sbocco ideale per il talento che vuole riposizionarsi nel mondo circostante. Che vuole dare il meglio di sé. O perlomeno provarci. Sono uno stato alternativo della mente. Un meccanismo che mette in discussione l’esistente. Che tenta di scardinare i vecchi modelli di azione. È una modalità di pensiero che sfida il presente, per preparare il futuro. Un retroterra audace che dà linfa ad una nuova filosofia del quotidiano. Ripensa la routine e la trasforma in un gesto epico. Galvanizzante. Si sintonizza su una frequenza che stimola volontà, visione, desiderio, forza, entusiasmo ed ebbrezza. Quella “gentile” che permette azioni extra-ordinarie, cioè fuori dal comune. Che scardinano il già noto e sondano l’ignoto. Le rivoluzioni quotidiane hanno un obiettivo importante, e allo stesso tempo atipico: vogliono problematizzare l’ovvio, stressare il banale, mettere in difficoltà le nostre abitudini acquisite e tutto ciò che diamo per scontato. Vogliono rivisitare e aggiornare le azioni umane più elementari per costruire un progetto di vita migliore, di più ampio respiro. Vogliono, in ultima istanza, essere la sentinella al
confine per affrontare il nemico più insidioso: il disorientamento. In una società senza orientamento, ogni giorno può essere utile per fare piccole rivoluzioni che ci spingono al di là della zona di comfort. Modificare le coordinate della rotta. Inventarsi un copione diverso. Costruire una mappa sostenibile. Trovare una posizione.
Cos’è il talento? Cos’è un Homo Talent? L’Homo Talent è colui che costruisce il proprio progetto di vita sulla valorizzazione dei propri talenti. In particolare la nostra specie manifesta cinque talenti primari in rappresentanza di cinque macro-aree comportamentali innate: comunicazione, relazione, costruzione, gestione, esplorazione. Cinque dispositivi innati che, per essere riconosciuti ed apprezzati
dalla società, debbono assumere una forma concreta e adottare un linguaggio comprensibile. Cinque attitudini tutte indispensabili le une alle altre perché, nonostante ci sarà sempre un talento primario dominante che traccerà il cammino, il segreto del valore sta nel gioco di squadra. Più i talenti sono armonizzati, meglio gira il sistema. Più probabilità si hanno a disposizione per raggiungere l’eccellenza
e creare valore, per noi e per gli altri. Leggere questo saggio significa accettare la possibilità di un viaggio dentro se stessi, in cui scoprire la
differenza tra talento primario e talento sociale – che nasce dalla negoziazione con le variabili sociali – e vedere come un’attitudine innata possa diventare un talento professionale riconosciuto dalla società. Comprendere cioè che la professione in cui è possibile eccellere non è altro che un vestito su misura, un mezzo più funzionale di altri, un Interpretante adatto a svelare meglio il proprio talento grezzo.
L’Interpretante è qualcuno o qualcosa che scegliamo per svelare i segni nascosti ed indecifrabili del talento primario. L’Interpretante può essere emulativo, che si verifica quando scegliamo qualcuno o qualcosa per colmare un gap, per ripristinare l’equilibrio alterato da una precedente esperienza; compensativo, che si verifica quando scegliamo qualcuno o qualcosa per emulare una situazione già esistente e nota all’interno del contesto socioculturale di riferimento; o generativo, che si verifica quando scegliamo di creare situazioni e attività autentiche, libere e svincolate da qualsiasi costrizione. Affidarsi ad un Interpretante generativo è il primo passo verso l’espressione vera del talento primario. Il miglior modo per incontrarlo è avere la mente sgombra e preparata ad accoglierlo. Fare quindi un esercizio di serendipity, ovvero l’arte di trovare cose inaspettate senza cercarle. Perché senza una predisposizione ad accogliere l’imprevedibile, l’invisibile, non riusciremo mai a capire con precisione quale sia la strada giusta per noi. Prendere così ad esempio, studiare, le parabole esistenziali di Maradona, Muhammad Ali, Batman, persino della Banda della Magliana, ma anche di Gaetano, Fabia ed Elena. Personaggi noti e meno noti che hanno manifestato, in diverse parti del mondo, un talento sui generis nella loro vita, seguendo spesso percorsi irregolari e dettati dal caso. Comprendendo come ostacoli, problemi o pseudo-nemici siano essenziali allo sviluppo del talento.
Esistono infatti delle tecniche con cui trasformare il talento grezzo in un talento professionale riconoscibile e spendibile nel mercato del lavoro. In un mondo caratterizzato da turbolenza ed incertezza perenne, l’orientamento strategico può rappresentare la “strada”, un sistema cioè capace di gestire e monitorare le nostre attitudini personali. Non a caso il vocabolo orientamento proviene dal verbo latino orior, oriris, ortus sum, oriri, il quale significa nascere, sorgere, e si utilizzava – tra l’altro – per indicare il sorgere del sole all’orizzonte. Ovvero orientarsi, trovare il proprio posto, la propria posizione. Adottare inoltre strumenti innovativi e tecnologici può offrire l’opportunità di comunicare il nostro talento al mondo, progettare una vita migliore. Ne è un esempio il Talent Passport, uno strumento di
personal branding da affiancare al proprio curriculum vitae e che serve a curare l’identità e la reputation del talento. Un bollino di qualità, il certificato d’origine del prodotto-talento che si situa alla fine del processo di creazione del valore-talento. Questo libro è rivolto a tutti coloro che desiderano riposizionarsi in questo mondo complesso. Turbolento, precario, a tratti indecifrabile. Pur sempre ricco di inattese opportunità, alla nostra portata. Un contributo umile, che potrebbe però tornare utile a coloro che intendono risollevarsi dalle sabbie mobili del conformismo e della crisi socio-economica attuale – più o meno legata all’emergenza COVID – mettersi in discussione e decidere di imboccare la via del talento. Perché non possiamo accontentarci. Non possiamo delegare a nessuno il nostro destino. Non possiamo
cambiare il mondo. Almeno con le modalità che ci hanno tramandato fino a oggi. Possiamo, invece, adottare idee e strumenti per fare rivoluzioni quotidiane. Le nostre.
SCHEDA LIBRO
Titolo: Homo talent. Idee e strumenti per le rivoluzioni quotidiane
Autore: Giorgio Maggi
Editore: Alpes Italia
Anno edizione: 2019
Pagine: 119 p.
ISBN: 9788865315538
Prezzo: € 12,00
Link all’articolo originale https://uozzart.com/2020/11/10/giorgio-maggi-homo-talent-alpes-italia/
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“Il vicolo cieco. Il piccolo libro che vi insegna a comprendere se insistere o rinunciare” di Seth Godin
Recensione a cura di Michele Sabatini
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Uscito in Italia per MGMT Edizioni, “Il vicolo cieco. Il piccolo libro che vi insegna a comprendere se insistere o rinunciare” è un breve ma inteso saggio che il guru americano del marketing Seth Godin dedica alle persone in cerca di un cambiamento – sia esso a livello professionale, personale od in un rapporto – quanto piuttosto di una conferma per continuare a perseverare.
Molla le cose sbagliate.
Persevera nelle cose giuste.
Abbi il coraggio di fare l’una o l’altra cosa.
Un lavoro, un progetto, una relazione: tutto, all’inizio, costituisce un’esperienza eccitante. Poi subentrano i primi ostacoli e, infine, arriva la fase più difficile. Quella in cui non ci si diverte più e occorre solo stringere i denti. A quel punto ci si domanda se ne vale davvero la pena. Forse si è entrati nel “fossato”: una crisi temporanea che è possibile superare con uno sforzo in più. Oppure si tratta di un vicolo cieco, una situazione che non potrà mai migliorare, neppure con il massimo impegno.
Secondo Seth Godin, ciò che caratterizza i migliori è la capacità di reagire nel modo giusto: cioè mollare subito, senza sensi di colpa, i vicoli ciechi e impegnare le proprie risorse per conquistare l’altra sponda del fossato. I vincenti sanno che i fossati più larghi e difficili riservano il premio migliore e che diventando leader di una nicchia conseguiranno profitti, gloria e sicurezza per il futuro.
Questo piccolo saggio vuole aiutare a capire se ci si trova in un fossato e incoraggia a superarlo perché ciò ripagherà delle nostre fatiche. Se invece ci si trova in un vicolo cieco, aiuterà a trovare il coraggio di mollare, perché si possa essere vincenti in un’altra iniziativa.
Il mollare strategico, più propriamente detto abbandono strategico, è il segreto delle organizzazioni di successo. Il mollare reattivo e seriale, o abbandono reattivo e seriale, è l’errore fatale di chi si sforza di realizzare un obiettivo e non ci riesce. È ciò che fa la maggior parte della gente: molla quando è in difficoltà e persevera quando tutto va bene.
Quando si intraprende una nuova attività, nella fase iniziale è molto divertente e le persone attorno forniscono un feedback positivo. Per qualche tempo, la rapida curva dell’apprendimento incoraggia a proseguire. Qualunque sia la nuova attività, mantenere l’impegno e la dedizione è facile. Poi si cade nel fossato.
Il fossato è il lavoro lungo e impegnativo che si rende indispensabile per passare dalla condizione del principiante a quella di chi padroneggia completamente la materia. È lungo e impegnativo, ma è anche il mezzo più rapido per arrivare dove si vuole: ogni altra soluzione richiederebbe più tempo. Perché a generare valore è la scarsità. Se non esistesse il fossato, non ci sarebbe scarsità.
Chi ha successo non ha superato il fossato casualmente. No, vi si è calato volontariamente ed è avanzato a fatica con il massimo impegno e cambiando le regole. La consapevolezza di trovarsi nel fossato non rende l’esperienza più gradevole, ma può aiutare ad attraversarlo più in fretta adottando soluzioni più opportune.
Il vicolo cieco corrisponde invece alle situazioni in cui si lavora, si lavora e si lavora, senza che accada nulla. Non vi sono miglioramenti significativi e neppure peggioramenti significativi. Si lavora e basta. È un cul-de-sac, occorre prendere atto della sua esistenza ed uscirne al più presto perché impedisce di dedicarsi ad altro.
Occorre quindi perseverare nei fossati che possono portare al successo e mollare i vicoli ciechi per reimpiegare positivamente le proprie risorse. Chi si trova nel fossato investe tempo, energie ed impegno nel cercare di superarlo, è determinato a diventare il migliore del proprio campo. Anziché fare giusto un po’ meglio della media e accontentarsi di ciò che ha, accetta la sfida che il fossato gli pone di fronte.
Perché nell’ambiente della competizione, le avversità sono il miglior alleato possibile. Maggiori sono le difficoltà, migliori sono le possibilità per emergere sulla concorrenza. Se si molla di fronte alle avversità, allora tutto lo sforzo è stato inutile.
Essere mediocri è indubbiamente più facile che non affrontare la realtà e mollare. Mollare è difficile, perché impone di prendere atto che non si riuscirà mai a essere i migliori del mondo, almeno non in quella particolare attività; allora si preferisce far finta di nulla, rimandare, non ammettere la propria inadeguatezza e accontentarsi di essere mediocri. O piuttosto diversificare, invece che massimizzare il proprio impegno in quella particolare attività che ci rende riconoscibili. Che inutile spreco.
Mollare quando si raggiunge il fossato è una cattiva idea. Se il viaggio che si è iniziato promette vantaggi, allora ritirarsi nel momento in cui si entra nel fossato significa solo sprecare del tempo che si è già investito. E se ci si ritira per un numero sufficiente di volte, si finisce per essere un rinunciatario compulsivo, che inizia un sacco di cose ma porta a termine ben poco. Se invece non si è in grado di superare il fossato, non provateci nemmeno. Adottando questa semplice regola, si potrà essere molto più pignoli nella scelta del viaggio da intraprendere.
Il fossato è il miglior alleato che si possa avere perché rende interessante e remunerativo il progetto (e funge da deterrente per la concorrenza). Oltre a trovare un fossato dal quale si sia in grado di emergere, occorre anche abbandonare tutti i vicoli ciechi nei quali ci si sta girando i pollici. Occorre mollare i progetti, gli investimenti e le iniziative che non vi offrono lo stesso livello di opportunità. È difficile, ma è di vitale importanza.
Il mercato vuole vedere le persone perseverare. Vuole ricevere un segnale che dimostri che le cose sono fatte sul serio, che si è forti, affermati e garantite sicurezza. Dire basta ai progetti che non conducono a nulla è indispensabile per portare avanti quelli che davvero contano. Se il meglio che si può fare è cavarsela, allora è meglio mollare.
Il successo segue sempre lo stesso copione.
Anche il fallimento.
Abbiamo successo quando facciamo qualcosa di straordinario.
Falliamo quando molliamo troppo presto.
Abbiamo successo quando siamo i migliori del mondo nella nostra attività. Falliamo quando ci lasciamo distrarre da attività che non abbiamo il coraggio di mollare.
Michele Sabatini
Seth Godin è imprenditore, scrittore, conferenziere e agente del cambiamento. Prima di lavorare come scrittore e aprire uno dei blog più letti al mondo, è stato vice president direct marketing di Yahoo! Con i suoi contributi, ha aiutato a cambiare in modo radicale il modo di guardare al marketing ed è stato inserito sia nella Direct Marketing Hall of Fame, sia nella Marketing Hall of Fame. American Ways Magazine lo ha definito “il più grande esperto di marketing americano”. È autore di diciotto bestseller internazionali tradotti in più di 35 lingue che hanno cambiato il modo in cui le persone pensano alle tematiche di marketing e lavoro. Tra i suoi libri ricordiamo: La mucca viola. Farsi notare (e fare fortuna) in un mondo tutto marrone (Sperling & Kupfer, 2004), I piccoli saranno i primi. 184 sorprendenti idee di marketing (Sperling & Kupfer, 2007), Siamo tutti strambi. La nuova era del marketing su misura (Sperling & Kupfer, 2011), Quel pollo di Icaro. Come volare alto senza bruciarsi le ali (Sperling & Kupfer, 2014), Il vicolo cieco. Il piccolo libro che vi insegna a comprendere se insistere o rinunciare (MGTM, 2018), Questo è il marketing. Non puoi essere visto finché non impari a vedere (ROI edizioni, 2019) e La pratica. L’attività creativa è una scelta quotidiana (ROI edizioni, 2021).
SCHEDA LIBRO
Titolo: Il vicolo cieco. Il piccolo libro che vi insegna a comprendere se insistere o rinunciare
Autori: Seth Godin
Editore: MGMT Edizioni
Anno edizione: 2018
Pagine: 96 p.
ISBN: 9788885783522
Prezzo: € 12,00